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venerdì 19 giugno 2009

‘Infoetica’ nei media: il neologismo del Papa è ancora il grande assente


Con un incisivo neologismo – “infoetica” - coniato durante la prolusione agli operatori dei media, in occasione della 42° Giornata delle Comunicazioni Sociali (2008), le preoccupazioni di Papa Benedetto XVI si sono rivolte verso l’emergenza causata dal “mondo pervasivo della comunicazione”. Il Santo Padre, parlando del sistema e delle modalità dei media, ha posto l’accento sul loro essere ad un bivio: “O aiuteranno l’uomo a crescere nella comprensione e nella pratica della verità, e del bene, o si trasformeranno in forze distruttive che si oppongono al benessere umano”. Proprio sul richiamo che il Papa ha rivolto alla condizione dei mass media – con il loro continuo spostamento dei valori sull’ambiguità, anziché essere i primi testimoni della verità – è necessario soffermarci, e fare una riflessione, iniziando a diffonderla su un giornale online che fa proprio dell’infoetica la sua lanterna. Parto da una lettura dei giornali usciti proprio in quei giorni, nei quali ho spesso letto commenti di autorevoli colleghi che, quasi con piglio risentito, hanno pensato di trasmettere ai propri lettori la convinzione che il richiamo del Papa fosse dettato da una sorta di ripicca, a causa della malevola interpretazione del “famoso” discorso di Ratisbona. Nulla di più assurdo. Nulla di più fuorviante, e manipolatorio, far pensare a ripicche personali, come se la stessa infoetica fosse da concepirsi quale mera ritorsione nei confronti di una certa informazione e dei suoi protagonisti, molti dei quali oggettivamente capaci di manipolare le coscienze, e decisamente performativi delle iper-realtà.Tuttavia, anche se reale, e all’ordine del giorno nelle redazioni, il problema della manipolazione dell’informazione è, per così dire, uno sfondo che accompagna quotidianamente chi sceglie per noi, nel mare magnum delle fonti, la notizia da diffondere, e la modalità con la quale comunicarla. Argomentare, ogni giorno, nelle redazioni di tutto il mondo, su che cosa pubblicare, e perché dare rilievo ad una, piuttosto che ad un’altra notizia, è parte assolutamente integrante del mestiere del giornalista. Alla base, ed è ciò su cui bisogna focalizzarsi, c’è un problema di come la verità viene scritta, quindi comunicata, anzi, di come la verità viene pensata, vissuta, interpretata dalla persona che scrive Il richiamo del Santo Padre, originalissimo, non era da intendersi tanto rivolto ai mezzi di comunicazione, o alle mancanze di coloro che operano nel “villaggio globale”, quanto piuttosto alle persone stesse che fanno comunicazione. Da qui la necessità, imprescindibile, di preparare i comunicatori all’Etica, intesa come sistema di valori, e come una materia, da acquisire con la stessa preparazione “accademica” necessaria ad un giornalista scientifico per scrivere di argomenti medici, filosofici, bioetici.L’idea di un’ Infoetica come disciplina accademica può solo all’apparenza apparire peregrina, magari un’esagerazione. L’assioma secondo cui “non tutto quello che si pubblica è, per il solo fatto di essere pubblicato, eticamente accettabile” può soltanto essere il primo tratto di un disegno etico che rivela un progetto sottostante più alto, ed articolato.Come lo scienziato che “studia” (manipolandolo) l’embrione , così il giornalista può non essere neutro (in qualche modo manipola sempre il lettore). Pertanto l’indicazione del Santo Padre è da attuarsi con estrema urgenza: lo studio dell’Infoetica, a mio avviso, è tanto necessario, per un giornalista, quanto lo è quello della Bioetica.Ritengo che la questione dell’infoetica si debba collocare non solo all’interno di un sistema di produzione dell’informazione. Informazione, peraltro, che corre costantemente il rischio di essere autopoietica, autoreferenziale, manipolatrice. Penso piuttosto che lo sforzo - chiamiamolo “il supplemento etico” richiesto da Benedetto XVI - sia da rintracciarsi sull’impegno, etico e morale, di non confondere, volutamente, e a monte della notizia, la verità.Sappiamo bene, ed a spese dell’intera società, che quando l’informazione è malata lo è perché intrinsecamente malata nella sua eticità. Vale a dire: se l’informazione è eticamente compromessa, lo sarà anche la notizia, quindi il messaggio, quindi l’opinione del lettore. Il danno etico va sanato a monte: questo ci ha detto il Santo Padre.Proprio nell’epoca della globalizzazione, dei nuovi media, mentre oltre un miliardo di persone si connette quotidianamente ad Internet, il rischio di un’ “omologazione delle anime” aumenta progressivamente se il nutrimento è quello delle “verità formattate” .Il lettore, invece, dovrebbe sempre essere messo in condizione di comprendere, con chiarezza e semplicità, quale tipo d’informazione gli viene data.Se l’informazione è “paradigma” di “metafisiche influenti”, allora formare, e responsabilizzare, eticamente chi fa comunicazione potrebbe forse rispondere all’invito del Santo Padre.Noi de Il Giornale di Bioetica siamo pronti ad accogliere l’invito all’infoetica: al suo studio, alla sua codificazione, alla sua attuazione, a partire da chi vi scrive.
Antonello Cavallotto, giornalista scientifico.