Questo Blog nasce con l'intento di promuovere e difendere il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale, come fondamento di tutti i diritti umani e quindi della democrazia e, già ampiamente, di dibattere i temi della ricerca scientifica per quanto attiene alle ricadute sulla vita dell’uomo e della società.



diventa Fan su Facebook!

giovedì 24 aprile 2008

SCIENZA & VITA DI LATINA: 127MILA ABORTI? UN NO ALLA VITA CHE FA MALE AL PAESE“





Come cittadini italiani non riusciamo ad essere soddisfatti della riduzione degli aborti a ‘soli’ 127mila. Forse a qualcuno, ma non a noi, sfugge che si tratta di 127mila esseri umani a cui è stata negata la possibilità di nascere”. Così l’Associazione Scienza & Vita di Latina reagisce alla diffusione dei dati contenuti nella relazione annuale sull’attuazione della legge 194. “Senza dire - aggiunge l’Associazione - che dietro quelle migliaia di aborti (il 2,9% del totale) che si realizzano dopo i 90 giorni, con ogni probabilità si annida una scelta eugenetica, causata da una malattia o da una malformazione del feto. Pensate al solo fatto che non nascono più bambini con la sindrome di Down”. “In secondo luogo - sottolinea Scienza & Vita - anche in questa relazione prevale il giudizio, più volte espresso in passato, secondo il quale ‘gli aborti sono diminuiti, dunque la legge funziona’. Un giudizio a dir poco sommario se non cinico, considerata la natura stessa di una legge che oggettivamente sopprime la vita umana. Del resto - prosegue l’Associazione - c’è una ferrea coerenza nel ragionamento del ministro Turco, laddove afferma che l’unico valore etico da difendere è la salute della donna. Al ministro chiediamo: ma l’embrione non merita tutela?”. “Infine è interessante - conclude Scienza & Vita - il dato sull’obiezione di coscienza e come questa sia cresciuta tanto al Sud quanto in alcune aree del Nord. Ora, questa scelta viene fatta sempre più non solo dai ginecologi, ma anche da parte degli anestesisti e del personale non medico. A noi appare evidente che, per tutti questi soggetti, la misura ormai sia colma e che sia sempre più difficile e problematico chiedere o pretendere prestazioni professionali che violino il principio della difesa della vita. Forse sta maturando la convinzione che il no alla vita, mediante l’aborto, faccia davvero male al Paese”.

giovedì 17 aprile 2008

JUNO CI INSEGNA A SORRIDERE, VIVERE E FAR VIVERE

di Giorgio Demetrio



Fagiolo, gnometto, coso: Juno ha sedici anni e non ci pensa a chiamare “feto” il pargolo che gli cresce nella pancia. Non è ancora il tempo per il college e i suoi unici pensieri sono i colori della maglia, il chewingum più profumato e la Gibson che suoni meglio di una qualsiasi chitarra da falò. Non lo chiamerà mai “feto” perché lei ha la leggerezza (non l’ingenuità) di qualsiasi sedicenne, e allo scientismo di certi camici che la inviterebbero a “erudirsi”, Juno risponde con il coraggio semplice di una ragazza che non si fa dettare le priorità dal Bignami del Sessantotto: per lei è naturale difendere la scelta di tenere il bimbo, portando avanti la gravidanza con quella saggezza che non appartiene a chi si “sente più grande” della sua maglia e della sua Gibson. O a chi chiama “feto” il pargolo, dall’alto di un camice che guarda con fastidio ideologico la ragazzina intenzionata semplicemente a far nascere una vita. Nel 2008, però, grazie ai medici radicali (pannelliani o progressisti che siano) e ai cartelli della Bonino di quarant’anni fa, anche la natura è diventata “reazionaria” e “clericale”: merito di una controcultura che si è radicata a forza di strilli, cortei e cattedre compiacenti, trasformando il dato ideologico in prassi scontata e l’atto di natura in comandamento religioso.
“Juno” è un film splendido nella sua trasparente linearità; non vuole rappresentare un manifesto politico tanto è evidente la scelta di raccontare una storia straordinariamente ordinaria. Il profilo resta basso, il budget conta pochi denari, i volti non sono i più noti di Hollywood, ma l’idea, quella sì, è dirompente e trasforma un prodotto minimalista in un film da Oscar, con recensioni fiume e tappeti srotolati ai piedi di autori e protagonisti. “Juno” non è nato come un proclama di celluloide da proiettare negli oratori ed è diventato un caso perché la penna leggiadra e politicamente scorretta di una ex spogliarellista ha deciso di raccontare quanto di più lontano (e di più vicino alla gente che non ha tempo per leggere Marx e ascoltare Cappato) ci fosse dalle autoreggenti zeppe di dollari e gli strusci contro un palo nei night di provincia. Fantastica Diablo Cody, targa di battaglia di Brook Busey, la lap dancer con il genio della scrittura che torna a farci sorridere (riflettendo) con un canovaccio lontano dalle seduzioni del male. Strameritava l’Oscar e non è un caso che a dirigere la sua storia sia stato quel Jason Reitman già splendidamente impopolare grazie al gioiellino d’esordio “Thank you for smoking”.
A smontare la tesi del film “beceramente orientato”, del resto, c’è pure la scelta di Juno di finire la gravidanza ma di non tenere il bimbo: il “fagiolo” andrà a una coppia che dovrà passare quella specie di test di solidità coniugale, pensato da Junbruco (come la chiamano), fatto di garanzie prima di tutto affettive che i nuovi genitori dovranno assicurare al piccolo. Un’ulteriore prova della commovente “superiorità” di una ragazzina che, pur parlando di cose da sedicenne, pensa e agisce con la lungimiranza di un vecchio saggio. Altro che camici bianchi e certezze radicali, la Nostra è una meravigliosa donna in “miniatura”, profondamente femmina come ne esistono poche a questo mondo, e non già una classica militante prolife, l’aggettivo che fa impazzire la truppa dei critici progressisti. A loro il film piace molto, ma un po’ tutti sentono il dovere di rovinare i loro pezzi (magari conditi da riflessioni cinematografiche di gran valore) con la puntualizzazione tutta politica che gli mette al sicuro la coscienza vestita con l’eskimo: le Aspesi e le Detassis che esaltano la pellicola, che però non ha nulla da spartire con le “cupe battaglie fondamentaliste”, fanno sinceramente compassione. Per non parlare del “corpo deformato dalla gran pancia” evocato da Lietta Tornabuoni sulla Stampa: quando la volgarità lessicale non conosce pudore. Piuttosto bisognerebbe ricordare alla signora Tornabuoni che ella può pontificare su un giornale grazie a quella “deformità”, e ci si augura che non applichi le stesse definizioni a quei “deformi” che il partito radical-progressista vorrebbe selezionare con filtri mostruosi di marca eugenetica.
Lorsignore convinte della propria superiorità antropologica continuano a dispensare (e a negare) patenti di dignità senza rendersi conto di apparire così ideologicamente “ortodosse”, e quindi, ridicole. Mai un filo di libertà critica, mai una vena di anticonformismo che renda imprevedibile la solita recensione plasmata sui dogmi della “rivoluzione culturale”. Tutte frecce che sarebbero piovute anche se non ci fosse stato Ferrara e la sua moratoria, ma col direttore del Foglio che predica di Vita e buonumore le punte degli strali sono state ancora più aguzze. Ha sbagliato in pieno l’Elefantino a fare una lista di cui sapeva il fallimento: l’ei fu socialista è stato votato solo da 135mila italiani su 59 milioni, un risultato che, con l’onestà intellettuale di sempre, Ferrara ha definito “catastrofico”. Ha fatto benissimo però Giuliano a trasformare il Foglio in un’allegra corazzata pronta a combattere contro il silenzio ideologico che ha ucciso qualsiasi tentativo di riparlare d’aborto. Di riparlarne, non di abolire la 194 o di tifare per il ritorno dell’aborto clandestino. Non si contano più le adesioni, da tutto il mondo, alla campagna lanciata da questo piccolo giornale di trincea a cui va il più sentito dei grazie. Grazie per averci restituito la possibilità di parlare di Vita e di gioia e non solo di quattrini (importanti, ma vivaddio siamo fatti anche di anima e di speranze che non si toccano) e altre idiozie elettorali (sempre troppe). Grazie per averci fatto apprezzare ancor di più “Juno”, la storia di una ragazzina che accende una vita e insieme il sorriso di quei genitori che l’attendevano da tempo. Una piccola donna che ci insegna a vivere e a suonare a ritmo del cuore la sua splendida chitarra Gibson.

giovedì 10 aprile 2008

Scienza & Vita di Latina: la vita, questo bene sconosciuto

L'Assocazione Scienza & Vita di Latina invita a riflettere.


La legge italiana sulla IVG è la Legge n.194 del 22 maggio 1978 (detta anche più semplicemente "la 194") che consente alla donna, nei casi previsti dalla legge, di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica.
È chiaro che la legge 194 è la manifestazione più diretta di quello che è il sentire comune circa alcuni temi delicati come la nascita di una nuova vita. Quindi prima di analizzare la legge nel dettaglio sarebbe quanto meno opportuno analizzare il pensiero di fondo che ha poi visto come risultato la legge stessa. In altre parole il problema di fondo non è la 194 (che abbiamo detto essere il risultato finale) ma è proprio la mentalità della nostra epoca. Se una donna si reca in ospedale per abortire è sicuramente doveroso prendere in analisi le svariate motivazioni che la spingono ad un gesto così estremo. Ma è altrettanto inevitabile fare alcune riflessioni: come si può stabilire una linea di confine tra l’effettiva “necessità” (se di necessità si può parlare) di porre fine ad una vita sul nascere e l’egoismo (in questo caso della donna stessa) che risponde all’affermazione: “o con me o con nessuno”? Inoltre non è ancora una volta doveroso da parte della struttura ospedaliera vagliare ed esporre (sempre alla donna) tutte le alternative possibili (adozione, affidamento) per difendere realmente i diritti sia della donna (che ha deciso di non occuparsi del proprio bambino) sia del nascituro stesso?
Sicuramente per il bambino che nascerà è una prospettiva assai migliore di quella di non avere nessuna prospettiva.
Il nodo della questione è che l’uomo non pensa mai (pur ritenendosi la creatura più responsabile in natura) alle conseguenze delle proprie azioni. Per fortuna, che ci sia un piano superiore a qualsiasi volontà umana è una certezza che si va consolidando nelle coscienze giorno dopo giorno. Ma, puntualmente l’arroganza e la presunzione, spingono, purtroppo ancora oggi, a sostenere che l’essere umano sia padrone indiscusso della propria esistenza e soprattutto dell’esistenza altrui, feto o anziano che sia.
Del resto distillare una forma così specifica... l'essere umano... da una forma di... come definirlo... casualità di due cellule che s'incontrano (risultato di un gesto d'amore) ha la stessa probabilità, da un punto di vista statistico, della trasformazione dell’aria in oro, avvenimento possibile, ma talmente improbabile da essere, di fatto, incredibile. Possiamo definire quindi il fenomeno della nascita di ognuno di noi, per le forze che vi sono coinvolte, un… miracolo.”
Ma il mondo è così pieno di persone, così affollato di questi miracoli, che diventano comuni, e ce ne dimentichiamo. Osserviamo di continuo il nostro pianeta ed esso diventa, ai nostri occhi, opaco. Eppure, se lo guardiamo con attenzione, può farci mancare il respiro, come se non l’avessimo mai visto.

mercoledì 9 aprile 2008

Lettera di risposta dei Presidenti a Eugenia Roccella

Nel ringraziare Eugenia Roccella, anche a nome delle Associazioni locali, per la lettera che ci ha inviato in relazione alla moratoria europea sulla distruzione degli embrioni umani a fini di ricerca, ci piace esprimere alcune considerazioni aggiuntive. Innanzitutto, cara Eugenia, ci piace sottolineare che il lavoro svolto da quanti si sono profusi nel silenzio e con abnegazione nella diffusione dell’iniziativa e nella raccolta delle firme, è un ulteriore segno della condivisione dell’impegno dell’Associazione Scienza & Vita nel tutelare la vita umana dal concepimento alla morte naturale.
Le condizioni di massima fragilità, in cui si trova l’essere umano nelle primissime fasi della sua esistenza, chiamano in causa la responsabilità di ciascuno di noi: anche così, dunque, noi diamo voce al suo diritto alla vita e alla salvaguardia della salute. E’ per questo motivo che l’Associazione Scienza & Vita, che a suo tempo ha espresso la propria contrarietà al ritiro dell’adesione dell’Italia alla "Dichiarazione etica", tesa a precludere finanziamenti comunitari per progetti di ricerca utilizzanti cellule staminali embrionali, continuerà ad adoperarsi affinché vengano sospese tutte quelle ricerche sull’embrione umano che non siano finalizzate al suo stesso bene. Sappiamo di poter contare sul tuo aiuto e su quello di quanti, anche nelle stanze della politica, sapranno sostenere con forza e determinazione la richiesta di Scienza & Vita volta a potenziare esclusivamente le ricerche sulle cellule staminali adulte o derivanti da cordone ombelicale o dalla placenta. Noi speriamo che solo a queste ricerche vengano destinati i finanziamenti italiani.

Lettera di Eugenia Roccella

Ai Presidenti di Scienza & Vita

Riceviamo e pubblichiamo una lettera inviata ai Presidenti dell’Associazione Scienza & Vita da Eugenia Roccella, che lanciò dalle colonne di Avvenire la moratoria europea sulla ricerca su embrioni umani.

Cari amici, grazie. In sordina, senza troppi clamori, la raccolta di firme per la moratoria europea sulla distruzione di embrioni umani a fini di ricerca, è approdata a un bel risultato. Alcuni pacchetti di firme mi sono arrivati persino a casa, da piccoli paesi in cui qualche volontario ha dedicato il suo tempo a questo generoso obiettivo. Non è un tema d’impatto, come altri temi eticamente sensibili, e non è nemmeno semplice spiegarlo a chi non se ne occupa e non ne ha mai sentito parlare. Non c’è stata una campagna pubblicitaria, non sono state mobilitate grandi energie, però è arrivata un’adesione silenziosa e spontanea di persone che si rendono conto che è in gioco il senso stesso dell’umano. Quello che fanno i laboratori di ricerca in Europa, per la maggior parte delle persone, è qualcosa di misterioso: eppure si tratta di scelte fondamentali, e di domande semplici. L’embrione può essere materiale da laboratorio? E’ lecito crearlo in provetta, per distruggerlo a fini di ricerca? In sintesi: la ricerca scientifica, deve o no avere limiti etici? Autorevoli medici, scienziati e filosofi assicurano che la ricerca è intrinsecamente etica, perché orientata al bene dell’umanità. A chi ricorda che nessun gesto umano può essere sottratto al giudizio etico, e che il fine non giustifica i mezzi (altrimenti anche il dott. Mengele troverebbe la sua utile collocazione nella storia del progresso medico) rispondono che si tratta di sconfiggere malattie degenerative come l’Alzheimer o il Parkinson.
Con la recente scoperta di Shinya Yamanaka, tutto è cambiato: la giustificazione delle terapie miracolose, non regge più. Il ricercatore giapponese ha trovato il modo per far regredire cellule della pelle a uno stato simile a quello embrionale, senza mai passare per la distruzione di embrioni. Persino Ian Wilmut, il famoso clonatore della pecora Dolly, ha dirottato le sue energie verso il metodo inventato dal giapponese; ma soprattutto Wilmut ha spiegato a tutti che la clonazione terapeutica è un’araba fenice, e che le staminali embrionali potranno servire al più a fare i test tossicologici. Se si tornassero a pubblicare le dichiarazioni rilasciate alla stampa durante il referendum sulla legge 40, molti nomi famosi della scienza sarebbero in grave imbarazzo. Ma noi non vogliano fare polemiche sul passato, bensì rimediare per il futuro. Vogliamo rimediare al gesto del Ministro Mussi, che ha consentito, all’inizio di questa legislatura, a finanziare anche con i fondi italiani una ricerca non etica, che già si poteva considerare fallimentare. Vogliamo fermare la distruzione di embrioni che continua senza nemmeno lo schermo di una (falsa) giustificazione umanitaria. Chiediamo una cosa fattibile, la sospensione della vivisezione di embrioni per qualche anno, per dare il tempo alla ricerca di adeguarsi, usando nel frattempo le linee staminali embrionali che già esistono. E’ un obiettivo che possiamo raggiungere, se uniamo gli sforzi, ciascuno nel suo ambito di responsabilità. Voglio ringraziare i volontari che hanno raccolto le firme, tutti voi di Scienza & Vita, ogni associazione che abbia dato una mano a questa piccola cosa concreta, finalizzata a ottenere un grande risultato. Andiamo avanti insieme, con i parlamentari europei disponibili, con chi ci sta, per affermare che l’embrione umano non è materiale da laboratorio, ma un figlio degli uomini.

Eugenia Roccella