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domenica 17 gennaio 2010

Dallapiccola: “Nessuna falsa illusione per le coppie che cercano un figlio”

di Manuela Bernabei e Antonello Cavallotto - Il Giornale di Bioetica


E’ una delle questioni più delicate che infiammano i dibattiti fra scienziati, laici e cattolici. Stiamo parlando della diagnosi genetica preimpianto (Pgd). Per capirne di più ed affrontare gli aspetti etici, scientifici e culturali della Pgd, abbiamo intervistato il professore Bruno Dallapiccola (nella foto), che ha dedicato la maggior parte della sua vita professionale allo studio della genetica, ed alla cura delle malattie rare.

Domanda: Professore, lei è anche presidente dell’Istituto CSS-Mendel, centro d’eccellenza nella diagnosi e nella prevenzione delle malattie genetiche rare, ci può dire a che punto è la ricerca in questo settore ?

Risposta: La ricerca sta facendo degli enormi passi in avanti in questo settore, raggiungendo dei risultati straordinari. Dall’’istituto Mendel, in particolare, nel 2009 sono uscite più di 60 pubblicazioni internazionali di notevole interesse, fra cui l’identificazione di nuovi geni, potenziali target per la cura delle malattie genetiche.

D: La genetica molecolare ci sta portando a scenari e prospettive inimmaginabili. Un’applicazione in campo medico è l’identificazione dei portatori di geni mutati patogeni. Allora non possiamo non chiederle la sua opinione sulla diagnosi pre-impianto…

R: La Pgd rappresenta una metodologia complementare alle tecniche di diagnosi prenatale, che permette di identificare la presenza di malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche in embrioni generati in vitro, in fasi molto precoci di sviluppo, prima del loro impianto in utero. Si tratta di una procedura che mira a selezionare gli ovociti in cui non sia presente l’anomalia genetica (di cui il partner femminile della coppia è portatore) in modo da produrre solo embrioni sani. I pazienti che richiedono l’accesso alle tecniche di diagnosi pre-impianto iniziano un trattamento di procreazione medicalmente assistita (Pma), che permette il recupero di ovociti da fertilizzare con gli spermatozoi paterni. Una volta che si è ottenuta la fertilizzazione, dagli embrioni ai primi stadi di sviluppo si prelevano una o due cellule (blastomeri) il cui Dna viene analizzato in maniera specifica, in relazione al tipo di malattia genetica da diagnosticare. Gli embrioni che risulteranno non affetti dalla patologia genetica, si trasferiranno in utero per ottenere una gravidanza senza la specifica malattia. Credo sia necessario fare delle considerazioni. Per prima cosa bisogna dire che questo tipo di diagnosi non deve essere la prima scelta di una coppia fertile. Non tutte le coppie devono ricorrere ad un’analisi di questo tipo ma, eventualmente, solo quelle coppie ad elevato rischio riproduttivo e qualora vi siano casi in famiglia di malattie genetiche e cromosomiche trasmissibili. Sto parlando di un’analisi mirata e non fatta a tappeto sulla popolazione, questo nell’interesse e nella tutela della donna. La Pgd, inoltre, abbassa notevolmente la possibilità di portare a termine una gravidanza e non ha un’elevata accuratezza della diagnosi: il rischio di errore si attesta intorno al 30%.

D: Quali sono le differenze fra la diagnosi genetica pre-impianto (Pgd) e la diagnosi genetica pre-concepimento (Pcdg)?

R: La Pgd prende in esame l’embrione generato in vitro, in fasi molto precoci di sviluppo. La Pcgd, invece, viene eseguita sull’ovocita prima del concepimento e non sull’embrione. Con la diagnosi pre-concepimento, a differenza della Pgd, si esclude a priori la possibilità di produrre embrioni con anomalie genetiche. La Pcgd prende in esame il primo globulo polare (1PB), una piccola cellula che possiede un assetto genetico speculare a quello dell’ovocita, per cui se il 1 PB presenta la mutazione materna ne consegue che l’ovocita risulterà privo della mutazione e quindi normale. Viceversa se 1 PB non presenta la mutazione materna sarà l’ovocita a mantenere quella mutazione: in tal caso si scarterà quell’ovocita e si procederà ad utilizzarne un altro per la fecondazione tramite Icsi (iniezione dello sperma direttamente nell’ovulo).

D: Quali sono i limiti della diagnosi genetica pre-concepimento ?

R: L’analisi genetica in questo caso consente di ottenere solo informazioni relative ad anomalie di origine femminile, quindi inapplicabili in caso di malattie genetiche autosomiche dominanti, ed in quelle di natura cromosomica di origine maschile. Con questo tipo di tecnica i tempi da osservare sono strettissimi; per questo motivo l’applicazione della tecnica segue uno schema articolato che richiede una stretta coordinazione tra diverse equipe, cosa non sempre possibile. Inoltre, si tratta di una tecnica prona ad errori, per cui spesso alla Pcgd devono necessariamente seguire altre analisi di diagnostica sul 2 globulo polare e poi sull’embrione.

D: Il rischio relativo di malformazioni nei concepiti con Pgd è +30% - 40% rispetto alle coppie che hanno seguito la via naturale: è vero?

R: Sì, il rischio relativo è aumentato. Il problema riguarda chiaramente i geni di origine materna e paterna. Una causa è senz’altro la superovulazione (dovuta agli ormoni) ed alle ore necessarie per il concepimento che non sono naturali. Bisogna capire che il concepimento in vitro non è altro che espressione di un accanimento riproduttivo. Un uomo che naturalmente produce pochi spermatozoi spesso li produce di bassa qualità. Non dimentichiamoci che lo spermatozoo deve subire un meccanismo importantissimo di maturazione non solo morfologica, ma anche funzionale. Ancora non si è capito che la natura ha i suoi tempi e che questi devono essere rispettati.

D: Professore, in Italia esiste una certificazione che attesti la qualità dei laboratori e l’accuratezza delle diagnosi?

R: Sì, ci sono diverse certificazioni internazionali a riguardo. Il problema è che in Italia meno del 30% dei laboratori che fanno diagnosi genetica possiedono questo tipo di certificazione. In Europa meno del 20% dei laboratori hanno una certificazione, e spesso le strutture che offrono l’inseminazione artificiale non seguono la donna immediatamente dopo la terapia. Questo è un fatto gravissimo. E’ necessario che si abbia un’informazione corretta e completa sulla struttura a cui si decide di appoggiarsi ed è necessario un più rigoroso controllo dei centri diagnostici da parte delle strutture competenti. L’unica vittima di questo sistema malato è, e rimane, la donna.

D: Secondo lei c’è un’informazione scientificamente corretta rispetto al mondo della diagnosi genetica predittiva?

R: Purtroppo la maggior parte delle volte no. Manca l’onestà intellettuale e scientifica nel dire dove siamo in grado di arrivare e dove non riusciamo ad arrivare. Sono stati fatti tanti passi in avanti, ma tanti ancora se ne devono fare. Oggi non siamo in grado di spiegare tante cose, né di prevederne altre. Spesso si spacciano per rivoluzioni scientifiche test che non hanno alcun valore predittivo, ovviamente al solo scopo commerciale. Bisogna stare attenti. Ritengo che questo sia un messaggio importantissimo: non dobbiamo mai offrire false illusioni.

D: La Pgd e, più in generale, il mondo della diagnosi predittiva, possono generare dei problemi di ordine morale, religioso e psicologico all’interno della coppia?

R: Certamente. Ogni persona ha un proprio “imprinting”. C’è chi crede che la prima cellula dello zigote racchiuda in sé un progetto misterioso, che sia un programma unico ed irripetibile, e chi no. Io personalmente ci credo. In questi casi bisogna fare i conti con se stessi, con le proprie idee. Non dimentichiamoci, inoltre, che in noi c’è un continuo sviluppo anche dopo la nascita. Questo ci dice quanto sia affascinante la vita e quanto sia complesso, e misterioso, il progetto che la determina: un’incredibile e finissima regolazione di geni che si regolano e si determinano fra loro, e con l’ambiente che ci circonda.

D: Si può parlare di selezione eugenetica dell’embrione? C’è un rischio reale di fobia verso l’handicap?

R: Bisogna capire se si parla di eugenetica intesa come bene della genetica, o di eugenetica intesa come selezione. Vorrei solo dire che tutti noi siamo geneticamente imperfetti.

E’ bene ricordarlo in questa società troppo superficiale che ci vuole tutti uguali e semplicemente perfetti. Io credo che ci debba essere un limite, e questo limite deve essere dato da un’autolimitazione. E’ necessario vigilare laddove la ricerca rischia di distruggere la vita e l’uomo.

D: Professore, un’ultima domanda sulla “behaviour genetics”. Recentemente, una sentenza della Corte d’Appello di Trieste ha ridotto di un terzo la pena ad un reo-confesso omicida, perché si è documentata la presenza di “geni”, nel patrimonio cromosomico dell’imputato, responsabili della sua aggressività. E’ un’ipotesi surreale immaginare, in un prossimo futuro, la creazione di un test predittivo che ci dirà se il feto, nel grembo materno, potrà diventare un adulto pericoloso?

R: La verità è che spesso ciò che manca sono le competenze scientifiche. Noi oggi conosciamo una minima parte delle potenziali variazioni del nostro genoma. Inoltre, la suscettibilità che è possibile rilevare è spesso controbilanciata dall’interazione con l’ambiente. L’ambiente, e tutta la fitta rete d’interazioni che ci circonda, è qualcosa di potentissimo che si riflette su di noi, e sul nostro modo di essere ed agire. Basti pensare all’anzianità: la vita media si è allungata ma non è cambiato il nostro genoma, quello che è cambiato è l’ambiente che ci circonda. Forse, allora, si dovrebbe prestare maggiore attenzione allo stile di vita, piuttosto che ai geni di un individuo, anche perché, ad oggi, non ci sono le basi scientifiche per dimostrare un condizionamento genetico rispetto ad un reato commesso.

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