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venerdì 9 marzo 2012

MALFORMAZIONI DA CURARE E NON DA PROVOCARE

di: DR. JEAN MARIE LE MENE, PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE JEROME LEJEUNE - PARIGI 

Io, quale presidente della Fondazione Jérome Lejeune, non saprei trattare meglio l’argomento se non ispirandomi all’esperienza stessa del Professor Jeéome Lejeune nella sua scoperta della trisomia 21 e dei lavori di ricerca che sono proseguiti in seno alla Fondazione che ora porta il suo nome. 

1- L’IGNORANZA PROVOCA LA PAURA 

Quando questa anomalia cromosomica, che è la trisomia 21 non era ancora nota se non sotto il nome di mongolismo, l’ignoranza era responsabile di due paure fondamentali, la paura dell’origine e la paura della trasmissione. 

A) La paura dell’origine 

La non conoscenza dei bambini “mongoloidi” risale molto in là nella storia. Il loro aspetto fisico così particolare per molto tempo ha fatto pensare che avessero una certa parentela con gli abitanti della Mongolia, da cui il nome di mongolismo. È così che un inglese, un certo Sir Langdon Down, nel 1866 ha descritto ciò che chiamava “idiozia mongoloide”. Per di più, il suo razzismo non era limitato all’Asia Centrale, egli descrisse anche una “idiozia negroide” e una “idiozia malesica”. Sola sopravvissuta l’idiozia mongoloide poiché, evidentemente, aveva il più grande numero di soggetti. 
È vero che un altro autore, francese questa volta, Seguin, dal 1844 aveva descritto la malattia con il nome di idiozia “furfuracea”, cioè in relazione con questo cereale che è la crusca, forse in riferimento alla mollezza delle bambole di crusca. Ma l’idiozia mongoloide descritta si traduceva meglio, in apparenza meno, per la sua evocazione razziale, all’aspetto fisico dei malati. Tuttavia, la classificazione di Down posa su un grave errore scientifico che consiste nell’ammettere che questa malattia mentale proveniva dalla regressione di certi caratteri tipici di una razza verso quelli di un’altra razza. Il mongolismo, per più di cento anni, fu dunque assimilato ad una tara razziale. Basato su basi talmente grossolane, era evidente che il corteo di malformazioni fisiche e soprattutto dei ritardi mentali che accompagnavano lo stato della persona colpita da mongolismo diventavano l’oggetto di una indifferenza o di un disprezzo della scienza che niente sembrava potesse attenuare. Questo bambino è mongoloide, dunque è di una razza che regredisce, dunque non c’è niente da fare. Non è improprio affermare che la scienza ha vissuto sotto l’influenza di L 
angdon Down, uno dei suoi ultimi razzisti a priori che ha condotto logicamente alla chiusura terapeutica. 
Niente di stupefacente non più nella maggior offerta che è stata fatta sull’origine dubbiosa del mongolismo. Si è anche trovato comodo sospettare la provenienza dei mongoloidi da un passato di alcolismo o persino sifilico. Non bisogna dimenticare che i primi lavori del Prof. Jérome Lejeune sul mongolismo sono stati finanziati a partire dai fondi inizialmente destinati per il trattamento delle madri di bambini mongoloidi per la sifilide. Ciò non significa nulla nei fatti se non che i mongoloidi sono stati persino l’oggetto di compassione e devozione notevoli. Ma era una compassione senza speranza. Il movimento regressivo verso una razza inferiore è ineluttabile – di supercrescita connotata da un forte sentimento di colpevolezza – ma che cosa si è potuto fare, o non fare poiché questi poveri bambini sono così? 

B La paura della trasmissione 

Nel caso di mongolismo, la paura della trasmissione di un messaggio ereditario di cattiva qualità pesa sui genitori e sulla società. 
I genitori potevano esitare a proseguire sul cammino della procreazione, timorosi di dar vita ad altri bambini colpiti dallo stesso handicap. La società, da parte sua era tentata di dare uno sguardo inquieto, guardare con rimprovero, le famiglie che avevano già dato vita ad un bambino mongoloide e che, niente di meno, perseveravano nell’estensione della loro discendenza. La responsabilizzazione, la colpevolezza, la vergogna schiacciavano molto spesso le famiglie. La loro dignità e la loro responsabilità erano ferite. Niente e nessuno erano in grado di alleviare questa sofferenza, mantenuta dalla paura sociale, lei stessa figlia dell’ignoranza. 

2- LA PAURA PROVOCA L’ESCLUSIONE 

La paura, che ci pone in una situazione di aggressività, suscita naturalmente una reazione di difesa. Di fronte all’handicap mentale di origine genetica rappresentata dalla trisomia 21, la società ha pensato di doversi difendere praticando l’esclusione in utero dei bambini colpiti. I recenti sviluppi delle tecniche di procreazione medicalmente assistita permettono ora di considerare l’esclusione in vitro dei bambini affetti. Nei due casi, la società cerca tuttavia di dissimulare la sua paura dietro alle buone domande e alle cattive risposte. 

A L’esclusione in utero 

Si tratta della diagnostica prenatale (DPN), la domanda posta è quella della nascita dei bambini handicappati. Come fare affinché tutti i bambini nascano sani? A questa domanda legittima, la DPN non propone una risposta ma la seguente diversione: per sopprimere l’handicap, sopprimono l’handicappato, con l’eutanasia fetale. Fin da allora, la messa in opera del DPN non può condurre che ad una inversione completa delle priorità. Invece di cercare di capire l’handicap per arrivare a guarire il bambino, si sopprime il bambino con il rischio di continuare ad ignorare tutto dell’handicap. Si punta tutto sulla diagnostica e nulla sulle terapie, con la volontà deliberata di restare in una mortale ignoranza. Il caso di depistaggio della trisomia 21 è la figura simbolica. Così, l’aiuto pubblico francese riservato all’unico laboratorio che fa ricerca fondamentale sulla trisomia 21 ammonta ad un milione circa all’anno su una popolazione di cinquantamila trisomici. I fondi destinati alla diagnosi generale della trisomia 21 (marcatura di serie, amniocentesi, ecografia, aborto) sono valutati intorno ai cinquecento milioni all’anno. Mezzo miliardo di franchi per eliminare cinquecento trisomici prima della nascita, un trisomico su due. Lo sforzo pubblico di ricerca in favore di ogni trisomico vivente è dunque di venti franchi. La volontà di sradicamento di ogni trisomico costa un milione. Ma mai si è evocato il costo della sparizione della malattia con l’aiuto alla ricerca. 
È più il bisogno di insistere nella perversione di un tale sistema? Si. Per di più questo sistema, che un giornalista ha qualificato “test di ogni angoscia”, non dà soddisfazione a nessuno. Né alle settecentocinquantamila donne incinte che si preoccupano inutilmente nel 98% dei casi, né alle famiglie che allevano un bambino trisomico che diventa un vero sopravvissuto (per indicare quelli che sfuggono tra le maglie della rete, non si parla di tasso di fuga?) ne ai medici che stanno molto male di fronte a questo ruolo che si fa tener loro. Un ruolo che li allontana sempre più dal gesto medico e che conduce spesso davanti ai tribunali medici accusati non per non essere riusciti a guarire, ma per non essere riusciti ad uccidere. Gli unici che tirano con profitto, il loro spillo dal gioco sono i fabbricanti di test di depistaggio. 

B L’ESCLUSIONE IN VITRO 

La diagnostica pre-impianto (DPI) pretende di dare un’alternativa all’alternativa precedente. Come evitare l’eutanasia fetale dei bambini handicappati? Tra parentesi, questa domanda mostra bene che l’esito proposto alla fine del DPN non era soddisfacente poiché tenta di sfuggirci. E’ perché, la soluzione proposta dalla DPI per evitare di uccidere in utero i bambini handicappati è di concepire in vitro solo dei bambini sani. Al posto di estrarre, uccidendo, un bambino non desiderato dal ventre di sua madre, l’idea consiste nell’impiantare solo bambini desiderati. Ancora una volta, si è in presenza di una diversione poiché evidentemente, la soluzione non è quella buona. 
L’inversione che ne risulta mostra che non è più la medicina che assiste la procreazione ma la procreazione che assiste la medicina. L’arte medica non migliora in niente. L’uovo fecondato è selezionato in una specie di covata o è semplicemente la legge dei numeri che va a fare la qualità. Poiché il ciclo della donna sarà stato stimolato, con tutti i rischi che ciò comporta e che non sono sempre riconosciuti, ci saranno parecchi ovociti prelevati, fecondati in vitro e dunque un numero sufficiente di embrioni. Tra i quali si potrà effettuare la selezione dei migliori, l’eliminazione dei meno buoni e la conservazione dei “soprannumerari”. In altri termini, l’aborto del feto in utero è sostituito, con la DPI, l’aborto dell’embrione in vitro, in condizioni in apparenza meno dolorose ma in realtà molto più perverse. 
In effetti non c’è alcun limite a priori all’espansione della lista delle deviazioni. L’unico limite è tecnico. Lo testimonia questa iniziativa del premio Nobel James Watson (struttura del DNA) ammettendo che in futuro, se si potesse scoprire l’omosessualità nel genoma, sarebbe favorevole alla soppressione degli omosessuali, non in modo coercitivo certo, ma sul semplice fondamento della libertà della donna. Dopo tutto per una donna, dar vita a un bambino che non potrà darle dei nipoti, non sarebbe un motivo sufficiente di angoscia? Curiosamente queste proposte sono state considerate scandalose e hanno suscitato delle vigorose reazioni. Ma Watson ha giustamente risposto: “noi ammettiamo già che la maggior parte delle coppie non desidera avere un bambino trisomico”. 
Degli esempi recenti ci mostrano che genitori sordi chiedono un DPI sui loro embrioni concepiti in vitro per reimpiantare un embrione lui pure colpito da sordità, o meglio ancora la procreazione in vitro di una quindicina di embrioni con lo scopo di ottenere un embrione sano che servirà per il trapianto della sorella maggiore malata. 

3) LA SCIENZA COMINCIA DALLO STUPORE (ARISTOTELE) 
Sempre nell’esempio della trisomia 21, noi vedremo, come Aristotele, che la vera scienza comincia dallo stupore. Dal momento della scoperta della malattia al momento della sequenza ci sono più di quaranta anni. 

A La scoperta della trisomia 21 

Per Jérome Lejeune la scienza aveva iniziato dallo stupore. Ci ricordiamo che il numero esatto dei cromosomi della specie umana era appena stato scoperto nel 1956. Stupore davanti ad un fatto straordinario della natura, che nessuno aveva osservato prima di Jérome Lejeune. Scopre nel 1959 che i bambini detti mongoloidi hanno un cromosoma in più nel ventesimo paio, ciò porta il loro patrimonio genetico da 46 a 47 cromosomi. 
Stupore di fronte all’effetto di questo cromosoma di troppo che si esprime in un contrattempo del metabolismo, come la nota musicale imprevista in un accordo. E’ ciò che spiega come mai le persone trisomiche soffrono di ritardo mentale e possiedono questo aspetto fisico così particolare. Stupore di fronte al più frequente degli incidenti cromosomici, la prima causa di ritardo mentale che, con grande disperazione dei familiari, resta senza soluzione terapeutica. 
L’interesse di questa scoperta inedita è immensa. Dimostra che l’anomalia cromosomica della trisomia 21è accidentale, distrugge la tesi della degenerazione razziale, che i nazisti avevano invocato per eliminare gli handicappati. Permette di considerare la nascita di altri bambini nella stessa famiglia. Dimostrando che nelle malattie per errore cromosomico, la qualità del messaggio ereditario dimora invariato, ma che l’unico cambiamento è di tipo quantitativo: Jérome Lejeune traccia già delle prospettive terapeutiche. Come regolare la velocità di reazioni biochimiche troppo rapide delle persone trisomiche 21, per rendere non soltanto udibile, ma bella la sinfonia della loro intelligenza? 

B La sequenza del cromosoma 21 

Il 18 maggio 2000, un’équipe internazionale di ricercatori americani, giapponesi, svizzeri, francesi e britannici ha pubblicato sulla rivista “Nature” l’annuncio della sequenza del cromosomo 21. Questo cromosomo, come gli altri, è costituito in gran parte da una molecola con forma di doppia elica a spirale che serve da supporto all’informazione genetica. Ogni pezzo di questa elica è formata da una lunga sequenza di lettere dell’alfabeto genetico. 
La sequenza consiste nello scoprire l’ordine in cui queste lettere sono allineate in modo da ricostruire l’informazione genetica contenuta in questo cromosomo. Una sequenza (o una “parola”) di parecchie migliaia di lettere per formare un gene. I ricercatori sono riusciti ad identificarne 225 sul cromosomo 21. Tra questi geni solo 127 sono noti, cioè la proteina, attraverso la quale essi codificano, è identificata, quindi 98 non sono ancora identificati e infine 59 geni sono inattivi. 
Qui, lo stupore è stato scoprire che il cromosomo 21 comprendeva molti meno geni di quanto si potesse immaginare. Occorre ora finire di identificare i geni e soprattutto trovare tra i geni quelli che sono coinvolti nella trisomia 21. L’identificazione dei geni responsabili della malattia – probabilmente assai numeroso – serviva allora da punto di partenza utile per i ricercatori nello sviluppo di nuovi trattamenti e non soltanto all’interno della terapia genica, ma ugualmente nella messa a punto di medicine tipo, confermando così l’intuizione del Prof. Lejeune. 

4 LA CONOSCENZA SI CONSEGUE CON L’AMMIRAZIONE 
“Il male è per l’amore ciò che è il mistero per l’intelligenza” ha scritto la filosofa francese Simone Weil. E’ questo mistero che bisogna comprendere. E’ questo male che bisogna combattere. Insieme. 

L’AMMIRAZIONE DEL MISTERO DELL’INTELLIGENZA 
La trisomia 21 è la causa più frequente della debolezza dell’intelligenza, cioè è l’affezione più umana nella misura in cui essa non colpisce che l’uomo, nella sua caratteristica fondamentale che lo distingue dalle altre specie del creato. 
Ed è anche l’affezione più disumana nella misura in cui l’uomo che è vittima di questa malattia dell’intelligenza è toccato in ciò che ha di più essenziale. 
Preme dunque, per restaurare l’uomo in tutta la dimensione della sua umanità “restituire a ciascuno questa pienezza di vita che si chiama libertà di spirito”. Tale era l’ambizione di Jérome Lejeune e tale è oggi l’ambizione della fondazione che porta il suo nome. 

AMMIRAZIONE DEL MISTERO DELL’AMORE 
Ma non si restituisce la libertà di spirito a un “non-essere” o a un essere al quale non si vuole alcun bene. Non si può sperare che di guarire qualcuno che si ama. Il nostro primo dovere è guardare l’altro così com’è, di guardare in volto, non di squadrare. E’ dunque impossibile che coloro che accettano di sopprimere malati trovino mai come guarirli. Non è lo stesso mestiere. 

Allora, instancabilmente, bisogna ripetere: 
La trisomia 21? E’ un uomo. 
Si deve verificare la sua conformità prima della nascita? 
Non c’è niente da fare per curarlo? 
Il feto non è che un ammasso di cellule? 
L’aborto non uccide nessuno? 
Fabbrichiamo un embrione? 
Congeliamolo se è riuscito? 
Diamolo alla vivisezione se è fallito? 

Un uomo è un uomo, è un uomo! Questo slogan che condusse gli USA ad abolire la schiavitù deve essere la Bibbia del genetista. 

“Se la natura condanna alle volte, il ruolo del medico non è di eseguire la sentenza, ma di cercare sempre di commutare la pena”. 

“Lasciatelo vivere, ci penserà lui stesso”.





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